giovedì 16 aprile 2015

02 - L'altra faccia della leadership

L'altra faccia della leadership
articolo pubblicato sul numero 246 della rivista 
Nuova Atletica (www.nuovatletica.it/rivista/news.php?extend.12) 

In questo articolo ci proponiamo di sfatare alcuni miti che circondano la leadership, con lo scopo di scendere in profondità e di svelare quale, secondo noi, dovrebbe essere la vera missione di coloro che, per privilegio o per chiamata, hanno come compito la responsabilità di guidare altre persone.


"Ecco una domanda importante che i leader dovrebbero farsi: "Sto costruendo persone, o sto costruendo il mio sogno e usando le persone per raggiungerlo?"
John Maxwell (scrittore di diversi libri aventi per tema la leadership)
1.
Nell'articolo precedente, abbiamo narrato una storia della leadership un po' diversa dal solito.

Ci eravamo infatti posti l'obiettivo, di scavare nelle origini più profonde della leadership ed abbiamo cercato di rispondere alla domanda da dove essa nasce e come si é sviluppata nel corso degli ultimi 50 anni.

In questo articolo cercheremo invece di ragionare sul perché essa trasmette di sé  l'impressione un concetto estraneo e sconosciuto ai più, di una disciplina attinente alla direzione delle mega aziende o al massimo delle forze armate, e vista dall'esterno, una dote ad appannaggio di pochi "eletti".

Già negli anni del secondo dopoguerra, precisamente nel 1948, Ralph Stodgill pioniere degli studi sulla leadership sostiene nel suo libro "Personal factor associated with leadership; a self-concept theory", che: 

"la leadership esiste tra le persone all'interno di situazioni sociali e che coloro che sono leader in certe situazioni non necessariamente lo sono in altre".

Sostiene nello stesso testo inoltre: 

"la leadership non dipende da doti innate, bensì dalla compatibilità che esiste tra la personalità del leader e quella del follower”.

In un colpo solo vengono infranti due miti: il primo che non esistono leader buoni per tutte le stagioni e per tutti i cicli economici, il secondo, che essendo la leadership un tema strettamente legato alla relazione tra individui, può verificarsi l'evento che, per una serie di motivi, alcuni di essi ben spiegati dalla teoria psicoanalitica della relazione oggettuale (invitiamo chi fosse interessato a leggere la biografia citata), il rapporto tra leader e follower non funzioni.

All'avverarsi di queste circostanze, per niente affatto rare, le azioni consce del leader sono del tutto inefficaci, ovvero  quando l'incompatibilità tra i due é tale da portare ad uno scontro aperto, quando il follower viene demotivato dalle pressioni subite, provando, o vedendo confermati, i propri vissuti di autosvalutazione e di poca stima di sé, ed infine può anche capitare il caso in cui il collaboratore emetta nei confronti del proprio capo un giudizio negativo cessando quindi di stimare il proprio il superiore.

Non é da trascurare nemmeno un'altra opzione, quella che vede il leader scoprire il limite del proprio ruolo per cause che dipendo per esempio dalla deleghe ricevute e che perde quindi, almeno in parte, la sua capacità operativa.

Non dobbiamo dimenticare, che non stiamo parlando di un superuomo impermeabile agli insuccessi, a meno di trattarsi di persona totalmente avulsa dalla realtà, come capita a coloro che sono sempre e comunque sicuri di sé e delle proprie idee, e che invece, come tutti gli esseri umani, di fronte al fallimento del proprio ruolo sperimenta il proprio limite.

Ma dobbiamo prendere in considerazione anche un altro scenario, spesso secondo noi ignorato dalla letteratura e che riguarda il caso in cui, a prescindere dal funzionamento armonico o meno della relazione, il collaboratore opera comunque in maniera diligente e conforme alle direttive ricevute. 
Questo avviene quando il follower agisce nel nome di propri interessi, che possono essere via via il desidero di fare carriera, ambire, dove sono previsti, ad incentivi economici, ma anche mettere in atto consapevolmente comportamenti non ostili nei confronti del proprio superiore nel nome, non di interessi materiali, bensì, in quanto sostenuto da valori etici di riferimento ed in taluni casi anche religiosi, che lo portano ad agire sempre e comunque in maniera responsabile, a prescindere da chi sia a guidarlo.
Pensiamo al mondo anglosassone, ma anche ad alcune realtà in Italia, dove per principio, o per educazione, non si mette mai in discussione l'autorità sul lavoro poiché, all'interno di una determinata scala di valori, esso occupa il posto più alto dopo la famiglia.

Pertanto, al netto delle considerazioni appena fatte, vale la considerazione secondo la quale non ha senso attribuire i meriti per i risultati di una azienda, unicamente a coloro che la guidano a vari livelli, ma ma essi vanno estesi a tutto il gruppo, o come va di moda dire ultimamente, a tutta la "squadra".

Quando inizi a lavorare con una squadra devi lasciare che il team vada avanti per conto suo. Ed alla fine, devi tutto a loro.
Michael Schumacher

2.
A partire dagli assunti sopracitati di Stodgill, in tutto il mondo, ma soprattutto in quello occidentale, é proliferata una copiosissima letteratura avente per tema coloro che sono chiamati a guidare gruppi di persone, incentrata sul sullo studio di casi reali, sia di successo che non, con lo scopo di individuare quell'insieme di comportamenti che rendono la guida delle persone più efficace.

Talvolta in letteratura, ci si é spinti un po' oltre, ignorando i predetti assunti, e finendo invece, per mitizzare certi canoni di comportamento a discapito di altri. 

In alcuni filoni, al momento attualissimi, mediante uso di terminologie ad effetto, parlando per esempio di "leadership carismatica", si é involontariamente creato un alone "di santità" attorno a coloro i quali, baciati dalla fortuna di possedere particolari doti innate, potevano vantare stipendi a 9 cifre e privilegi invidiabili di vario tipo.

Ma siamo sicuri che per essere capi di successo bisogna essere degli "unti dal signore" ?
Oppure esistono altre strade?
"Ogni volta che come leader pensi di avere potere, prova a dare un'ordine al cane di qualcun altro". (affermazione fatta da un manager, durante un corso dell'INSEAD  - Institut Européen d'Administration des affaires, una scuola di direzione aziendale ed istituto di ricerca di carattere internazionale)

Abbiamo visto nel predente articolo, come l'arte del comando, definizione, invero, fuori moda, si rifà ad un concetto a noi molto familiare, perché affonda le radici nella famiglia ed in particolare nella figura paterna, che come sappiamo, incarna la figura dell'autorità.

Abbiamo anche cercato con l'aiuto dell'etimologia, ovvero la scienza che indaga sulla origine più profonda delle parole e sul loro significato e la provenienza, di domandarci qual'é il significato elettivo di "autorità" ed abbiamo scoperto che deriva dalla radice del verbo latino “augere”, che significa "far crescere", “rafforzare”, “potenziare”, “arricchire”, ma anche “provvedere”.

Questo é un primo indizio che dovrebbe farci riflettere sul senso più profondo, che spesso rimane invisibile o sottotraccia, del ruolo di é chiamato a vivere questa figura.

Che questo non sia un concetto nuovo lo si intravvede osservando come nelle biografie dei manager americani, quando si descrivono la presente e le passate esperienze lavorative, si usa la locuzione ".. served as... ".

“Non chiederti cosa i tuoi compagni di squadra possono fare per te. 
Chiediti cosa tu puoi fare per i tuoi compagni di squadra.”
Magic Johnson


Possiamo discutere caso per caso, riguardo chi dei grandi manager oggetto dei “case histories" sia stato coerente con questa definizione o meno, ma non possiamo non sottolineare come secondo l'etica predominante nel mondo del business anglosassone, si faccia esplicito riferimento alla  alla nozione del servire, "di essere al servizio di.." , "di essere di aiuto a..."

Il manager é considerato non soltanto come un privilegiato che gode di uno status speciale, di benefit gratificanti e di riconoscimenti sulla stampa, bensì come colui che mette il proprio talento a disposizione dell'azienda per cui "presta servizio" affinché essa prosperi durante i periodi di espansione economica e sopravviva alle cicliche tempeste a cui le economie sono soggette. 

3.
Ma é proprio intorno al concetto di prendersi cura sia delle persone che delle risorse materiali che è legato un concetto talvolta sottovalutato, ma secondo noi assai rilevante.

Che é quello della responsabilità.
“Da un grande potere, derivano grandi responsabilità” 
(Dal film: l'Uomo Ragno)

C'è un filo indissolubile che lega le conoscenze che forniscono le basi culturali di una persona, le competenze che servono per saper fare un dato lavoro e le abilità relazionali necessarie a coordinare e motivare le risorse umane e la responsabilità.

Nessuno chiede al leader una cultura tecnica o settoriale impeccabile, l'esperienza di un anziano e magari pure l'infallibilità, ma imprescindibile a nostro avviso, é il senso di responsabilità, ovvero, di rispondere del proprio operato ad un superiore, ad un consiglio di amministrazione o all'assemblea dei soci, di essere in grado di portare a compimento gli impegni presi e magari di fare ancora meglio degli obiettivi (tema del prossimo numero) che gli sono stati affidati.

Qui sfatiamo un altro mito, ovvero, che ad appannaggio della leadership via siano solo privilegi e nessun rischio.

In realtà, più si procede in alto nella gerarchia, più aumentano le responsabilità, e quindi anche la pressione subita, ed aumenta in contemporanea anche la complessità delle problematiche da affrontare che rendono più difficile mantenere le promesse fatte.

4.
Mantenere le promesse, ma come?
A tutti i costi?
Mentendo ai collaboratori e magari anche ai superiori?

"La qualità più importante in un leader è senza alcun dubbio l'integrità. Senza di essa non è possibile alcun successo non importa che si stia parlando di sport, di esercito o di un ufficio. Se, infatti, i suoi compagni si accorgono che è falso e che ha mentito riguardo la sua integrità, egli nelle vesti di leader fallirà. I suoi insegnamenti e le sue azioni devono quadrare gli uni con le altre e, dunque, l'integrità deve essere per lui il primo proposito"
Dwight D. Eisenhower (ex presidente degli Stati Uniti) 

Ed il passo successivo include ovviamente l'integrità, ovvero, l'agire in sintonia con una scala di valori etici di riferimento.

Infatti spesso al manager vengono commissionati degli obiettivi, per raggiungere i quali, spesso non si chiede conto del come si é fatto per raggiungerli.

Una leadership responsabile ed integra, quindi sintonizzata su valori etici, viene "guidata" da una scala di valori. 

Valori che generano una visione, la quale a sua volta, é il motore propulsivo della motivazione, ovvero, ciò che mette in movimento le persone, perché il fine sarebbe quello di mantenere le promesse fatte ai clienti, ai fornitori, ai colleghi delle altre funzioni aziendali, rispettando al contempo la dignità e la sensibilità di coloro che partecipano al raggiungimento dell'obiettivo finale. 

5.
Ma attorno alla leadership aleggia un'altro alone, che ne distorce e ne altera la sua vera essenza. 

Ciò che rende questa l’esercizio della leadership così popolare da meritargli miriadi di studi, convegni e libri, ovvero, é quello secondo cui essa si identifica con i soldi, il successo ed il potere.

Si può ragionevolmente ritenere che chi pensa che il denaro possa tutto, sia egli stesso disposto a tutto per il denaro.” 
Benjamin Franklin


Qui é d'obbligo una precisazione per evitare ipocrisie e pregiudizi basati su luoghi comuni.

Per quanto riguarda i soldi ed il successo, desideriamo osservare che essi sono soltanto due aspetti esteriori.

Qui non diamo giudizi morali sui soldi o sul successo, ma ci limitiamo a far notare, che così come il termometro é uno strumento che misura la temperatura di un ambiente, ma esso non ne é la causa, così i soldi ed il successo di un manager dovrebbero essere solo il termometro che misura la capacità di produrre risultati, ovvero la pagella con la quale un consiglio di amministrazione od un direttore di funzione, riconoscono le capacità di colui che, sapendo guidare le persone é in grado di produrre anche risultati.

La leadership non é, o non dovrebbe essere il ruolo, che comportando maggiori guadagni in termini economici e di visibilità finisca per diventare il “mestiere” più appetibile, la meta più ambita, magari da persone senza scrupolo e con poche competenze.

Essa é una presa di responsabilità, un rischio, un servizio reso, il quale, se davvero porta  risultati strabilianti, verrà sia ben remunerato che onorato con il successo.

In molte realtà si dà, o si é data in passato, preponderante importanza ai risultati, dimenticando che se per raggiungerli é sufficiente oliare qualche macchina, migliorare i processi produttivi, investire su macchinari sempre più efficienti, dall'altro sta' sempre più prendendo piede la consapevolezza che per il successo dell'impresa é imprescindibile coinvolgere anche le persone che partecipano a questa "avventura" di trasformazione, perché le persone non sono automi o macchine che eseguono dei compiti con diligenza, bensì sono esseri dotati di sentimenti e di emozioni (tema di un prossimo numero).

Gli individui vanno a lavoro portando con se un vissuto, una storia, una famiglia e spesso problemi di vario genere.
Ignorare che queste realtà condizionino il rendimento lavorativo, porta a risultati non prevedibili a priori.

Ma al giorno di oggi, grazie alle evoluzioni storiche e sociologiche degli ultimi anni, l'individuo é "individuo" appunto. 
Sente di possedere una sua intrinseca dignità e, legittimamente, pretende di essere trattato con considerazione e riguardo.

Ecco che diventa fondamentale la presenza all'interno delle realtà aziendale della figura di un catalizzatore emotivo (il termine catalizzatore non è usato a caso) capace di far sì che la loro presenza incanali l'energia umana verso un obiettivo concreto, che può essere fabbricare un'automobile, delle fotocopiatrici, vendere dei beni o dei servizi.

Ecco che in certa letteratura si introduce il termine di guide capaci di “provocare” le motivazioni interne che fanno si che il lavoro sia fatto, non solo nei tempi previsti ma anche fatto bene. 
Tutto questo rendendo partecipi i propri collaboratori ai momenti topici durante i quali si definiscono obiettivi estremamente ambiziosi, facendo sì che ognuno partecipi a questa fase con entusiasmo e facendolo sentire parte integrante ed importante di questo momento.

“Umiltà, Umanità e Umorismo,  sono le vere doti di un leader.”
Kets De Vries - Professore presso l'Harvard School e l'Università di Amsterdam


Queste sono le capacità che caratterizzano l'uomo versatile, che oltre a possedere conoscenze specifiche, deve sapersi relazionare e, come Kets de Vries afferma in un'altro testo "Leader, giullari e impostori", al vero leader é chiesto di "essere empatico, saper ascoltare gli altri ed essere conscio dei sé e dei propri limiti".

Ma anche, aggiungiamo noi, sapersi astenere dal giudizio.

Sappiamo bene come essere giudicati ci ferisce e come una sorta di sesto senso, fa si che quando siamo oggetto di giudizi, magari anche in nostra assenza, siamo in grado di percepire questo "peso" che condiziona noi e chi questi giudizi ha emesso.

Essere giudicati, soprattutto se avviene pubblicamente, crea in noi una dolorosa frustrazione, con conseguenze pesanti sul morale e che ci induce ad essere sfiduciati verso gli altri.
In poche parole, il giudizio erge barriere che non facilitano, anzi peggiorano, i rapporti sul lavoro, facendo affievolire quel senso di serenità indispensabile per un ambiente lavorativo efficace.

Ma oltre ai soldi ed al successo, annesso alla leadership c'è un'altro aspetto, quello del potere.

6.
Ma cosa è il potere?
“Dove l'amore impera, non c'è desiderio di potere, e dove il potere predomina, manca l'amore. 
L'uno è l'ombra dell’altro."
Carl Gustav Jung - Psicoanalista

Sul potere ci sono un'infinità di luoghi comuni, come pure quello secondo cui la leadership di successo, quella che finisce sui giornali, e sulle riviste debba, imprescindibilmente, coincidere con il potere.

Potere é una parola che suggerisce rispetto, reverenza, e che fa venire un po' invidia per tutti i privilegi che esso concede e per l'alone di spregiudicatezza e superiorità che dona a chi lo possiede.

Chiediamo di nuovo aiuto alla disciplina dell'etimologia, per vedere da dove deriva e quindi comprenderne il suo significato più autentico.

La parola potere, deriva dal Latino “potis esse”, “potemus”, ovvero, possiamo. 

Deriva a sua volta dalla radice sanscrita "pa" (cogliamo l'occasione per far notare che dalla radice “pa”, deriva pure la parola “pater”, padre, che é come abbiamo visto nel precedente articolo é il simbolo dell'autorità), da cui deriva "pâ-ti" ovvero “proteggere”, ma anche  “custodire”. 

Quindi potere, significherebbe "avere  la facoltà di ..", "essere in grado di fare", "prendersi cura degli altri".

E’ insomma una capacità che implica il saper fare succedere le cose, parafrasando l'articolo 1176 del codice civile, "con la diligenza del buon padre di famiglia". 

Nulla che abbia a che vedere con il luogo comune che vede in esso il piacere di comandare autoreferenziale, un piacere che ha talvolta connotazioni di dominio sadico su altri reputati inferiori.

Facciamo inoltre notare una cosa curiosa, ovvero come si dice potere in tedesco.

Si dice "die Macht" (e che sia tratti di un sostantivo femminile rende la riflessione ancor più interessante ...) che deriverebbe dal verbo "machen", che significa semplicemente "… fare …”.

Come abbiamo visto quindi, non abbiamo trovato nessun indizio che il potere abbia qualche nesso con lo sfruttamento del prossimo od il suo tiranneggiamento.

“Nulla rivela meglio il carattere di un uomo, quanto il suo modo di comportarsi quando detiene un potere sugli altri.”
Plutarco - filosofo


E' come se il potere, quello che oggi conosciamo, fosse una forma degradata del concetto di "servizio" in favore degli altri, di una sorta di mistificazione della capacità di saper fare.

Dovremmo riflettere sul perché quella che é una capacità di saper coordinare gli altri, di saper ottenere qualcosa dalle persone, abbia finito per ammantarsi di un alone di superiorità. 
“La prima responsabilità di un leader é di definire le priorità, l'ultima di dire grazie. Nel mezzo, il leader é un servitore…”
Max DePree da "Leadership is an Art"; (1989) - Uomo di affari e scrittore

Abbiamo svelato così un'altro equivoco legato al tema a noi così caro, quello secondo cui la figura della guida di persone, del cosiddetto capo, non è un semidio dotato del potere simile a quello del pifferaio di Hamelin, ma di un individuo la cui finalità é prendersi cura sia delle persone che del business o dell'attività che gli é stata affidata per raggiungere degli obiettivi prefissati.

7.
Ora, perché ci siamo soffermati ed abbiamo insistito sulla mitologia, sui luoghi comuni e su quelli che noi riteniamo equivoci che aleggiano attorno alla leadership?

Perché per avvicinarci al suo studio con uno sguardo nuovo avevamo bisogno di un approccio che fosse libero da equivoci, leggende o miti che negli anni ne hanno velato la sua vera essenza.

Ma per per trovare lo stile di leadership più adatto a noi, qualunque sia il nostro ruolo od il mestiere che facciamo nella vita, dovremmo prima porci alcune domande.

Prima di tutto dove vogliamo andare, quali sono i nostri obiettivi, sia come individui che all'interno del ruolo che ricopriamo a lavoro.

Dovremmo pure domandarci come pensiamo di raggiungere questi obiettivi e, meditare su quali saranno i valori di riferimento che ci faranno da guida in questo nostro cammino.

I nostri valori, qualunque essi siano, sono valori morali (niente a che fare col moralismo) o etici che orientano le nostre scelte e le nostre decisioni.

E quindi danno una direzione ben precisa alle azioni che compiremo.

Di fronte ai vari scandali nazionali e non, si comincia a parlare da qualche anno di etica nella leadership e di etica della leadership.

Nel primo caso si intende che la leadership dovrebbe essere limpida e coerente nei pensieri e negli atteggiamenti.
Nel secondo caso, che essa lo sia anche nei riguardi di coloro ai quali deve rendere conto dei propri comportamenti, ovvero nei confronti dei superiori e dei collaboratori.

Perché, se non vogliamo essere una maldestra imitazione di quegli stereotipi che il cinema, o che i luoghi comuni ci forniscono, dobbiamo prima di tutto domandarci se lo vogliamo fare, e ovviamente, con quali competenze e con quale spirito di servizio.

Per essere leader, non serve essere un top manager di multinazionali americane come la Colgate-Palmolive o la General Electric. 

Lo si é per esempio anche quando si é genitori, insegnanti o coach/allenatori o quando, più semplicemente, desideriamo un mondo migliore. Ma anche in occasioni come le serate in compagnia di amici nel momento in cui si deve decidere quale film andare a vedere e trovare un punto in comune tra più persone, avendo come valore fondante l'unità del gruppo ed ovviamente, la sua soddisfazione.

Ma soprattutto lo saremo quando diventeremo leader di noi stessi e non vittime alla mercé degli eventi esterni e delle nostre fragilità, in altre parole della nostra “ombra".

8.



Non si può essere un leader efficace, fintantoché non si diventa leader di se stessi.”
Steven Covey da "Le sette abitudini delle persone altamente efficaci"


Per arrivare a ciò bisogna prima di tutto fare un serio percorso di ricerca interiore con lo scopo di chiarire quali sono le vere motivazioni che ci mettono in movimento e se sinceramente riteniamo di avere qualcosa in più da dare agli altri in termini di capacità relazionali, di ascolto, di empatia, di spirito di servizio, di conoscenza tecnica, di esperienza pregressa per essere e fare il capo.

Dobbiamo domandarci se vogliamo guidare gli altri per i soldi, per il successo, per soddisfare la sete di potere, per avere un teatro dove poter appagare il nostro ego, per aver prestigio o anche solo per il piacere sadico di vedere gli altri soffrire. 
Oppure per i nostri lati più intimi e reconditi, i cosiddetti "lati ombra", che magari fino a ieri non abbiamo riconosciuto come facenti parte integrante di noi.

Non vogliamo giudicare le motivazioni appena menzionate, in quanto sono tutte legittime, perché ognuno di noi é cresciuto all'interno di una data famiglia, ha vissuto in una data città ed é frutto egli stesso di una propria storia personale, la maggior parte delle volte complicata, quando non dolorosa, ma se guardiamo la lista delle aziende di "Fortune 500", la classifica pubblicata dalla rivista americana di economia "Fortune" ove sono presenti le prime 500 aziende statunitensi per fatturato, non possiamo non osservare come dagli anni ’70 ad oggi, essa é profondamente cambiata.

Molti dei nomi che svettavano nella classifiche delle 500 aziende più importanti degli Stati Uniti oggi non esistono più, e per il principio di responsabilità, non possiamo addebitare la colpa solamente alle varie crisi economiche che si sono susseguite, alle nuove tecnologie che hanno soppiantato quelle vecchie. 

Parte della responsabilità (osservate, non colpa) va a chi le guidava che non é stato in grado di saper leggere i cambiamenti della storia, delle persone e dei mercati.

E' facile perdere il contatto con la realtà se si é incentrati su se' stessi o perché si é riversato  il proprio "narcisismo distruttivo" sugli altri, o perché mossi dal piacere sadico di manipolare gli individui, finendo per "inquinare" e rendere invivibile l'ambiente di lavoro.

Vi è anche il caso in cui coloro che, applicando correttamente il criterio di efficenza nell'ambito dei macchinari e dei processi produttivi, cioè produrre di più con meno costi, in buona fede, applicano lo stesso principio anche quando si tratta di organizzare il lavoro e le relazioni con gli individui. 
Ignorando che le persone non sono macchine, e che in questa epoca, tutti ma proprio tutti, pretendiamo considerazione ed ascolto.

Nessun essere umano ama essere considerato alla stregua dei macchinari, perché ahimè, l'efficienza non guarda in faccia all'individuo ed ai sentimenti.
L'efficienza é fredda e spietata.


L'efficienza é come la falciatrice che brutalmente taglia l'erba, l'efficacia, invece, é come l'arte della potatura del bonsai: immagina la futura direzione della crescita del fusto ed opera in funzione dell'obiettivo rispettando i tempi di crescita della pianta. 

Quando non é così, noi ci limitiamo a fare il nostro dovere, solo ne caso in cui questo senso del dovere é stato ben interiorizzato. Ma in ogni caso il leader ha fallito, perché nessuno sarebbe disposto a dare qualcosa di più di quello che é prescritto dai mansionari aziendali.

Ricordiamoci che se ambiamo aspirare all'eccellenza, oltre a fare le cose, dobbiamo cominciare a considerare che esse vadano fatte anche bene, anzi, molto bene. 
E per farle bene dobbiamo profondere uno sforzo, un impegno, una concentrazione ben superiore a quella che metteremmo nelle faccende ordinarie. Perché lo zelo non é sufficiente per raggiungere l'eccellenza sul lavoro.

Forse, come disse qualcuno, il leader dovrebbe essere un po’ come il sale in cucina.

Esso, preso singolarmente, é solido e tangibile e nel momento in cui é messo nel cibo si dissolve, donando sostanza e sapore.
Ma al momento del pasto, quello che tutti assaporano e magnificano, é la pietanza, non il sale...


Bibliografia essenziale:

Stodgill (1948) "Personal factor associated with leadership; a self-concept theory"

Kets de Vries (1993) "Leader, giullari ed impostori" - Cortina ed.

Kets de Vries (1984) "L'organizzazione nevrotica: una diagnosi in profondità dei disturbi e delle patologie del comportamento organizzativo"

Kets de Vries (2005) "La mistica della leadership"

Otto F. Kernberg (1980) Teoria della relazione oggettuale e clinica psicoanalitica. - [Se mi si consente di riassumere in maniere sintetica ed un po' brutale (non me ne vogliano gli esperti del settore) la suddetta teoria afferma che il bambino nei primi 3 anni della sua vita si confronta con due figure di riferimento, i genitori, che  rappresenteranno per il resto della sua vita il modello interiore simbolico di quello che saranno per lui le relazioni future, ovvero di sperimentare sentimenti, emozioni ma anche frustrazioni che forniranno i vissuti emotivi di base per mezzo dei quali codificherà ed interpreterà in funzione di essi, ogni relazione futura] 

Quaglino (1996) - Psicodinamica della vita organizzativa  - [Libro che svela che al di là di quello che abbiamo sempre creduto, le organizzazioni umane sono il luogo dove ogni individuo porta la sua storia personale, i suoi dolori, le sue nevrosi.]

Quaglino (2004) - "Avere Leadrship  - [storia e classificazione dei più noti stili di leadership]

Bass (1985) - Leadership and performance beyond expectations

Bob Briner (1987)  “Gesù come manager” (1987) [Gesù considerato come modello di leader. Analisi dei comportamenti per essere un leader efficace. Considerazioni su come la mancanza del giudizio aiuti i cambiamento interiore]

Daniel Goleman (2000) - Lavorare con intelligenza emotiva

Edward de Bono (1970) - Creatività e pensiero laterale. [Talvolta l'approccio analitico e rigoroso non ci porta a prendere le decisioni giuste. L'uso del pensiero laterale ci permette di trovare soluzioni inaspettate e creative]

Edward de Bono (1999) sei cappelli per pensare [l'autore propone un metodo molto usato in passato in alcune riunioni dai top management di grandi aziende, che consiste nel tenere riunioni efficaci e senza attriti bypassando pregiudizi ed  emozioni, con un metodo che aiuta a sdrammatizzare i momenti di tensione e di incomprensione]

John P. Kotter (1996) - Leading Change  - Guidare il cambiamento. [diventato ormai un motto di successo, un testo considerato la "bibbia" nelle scuole di leadership]

John P. Kotter (1995) - Guidare il cambiamento  [articolo pubblicato su Harvard business review e precursore del testo sopra citato. Esso delinea gli 8 fattori critici di successo nelle aziende]

John P. Kotter (1999) - What leaders really do

Max DePree (1989) - Leadership is an Art; 

Steven Covey: (1998) Le 7 abitudini delle persone efficaci - [Per essere leader efficaci bisogna prima essere leader di se stessi. Questo libro  pone molte domande e ci aiuta a scoprire chi siamo, a meditare su quali sono i valori che stanno alla nostra base, come usiamo il nostro tempo e come il tempo, che é influenzato dai nostri valori può essere trasformato da tiranno in mezzo che rende possibile la nostra crescita e la nostra evoluzione]

Dale Carnegie & Associates (1993) - Scopri il leader che é in te. [Non si tratta di un testo che fornisce una lista di precetti da seguire o linee guida da rispettare per essere un buon leader, ma fornisce spunti di riflessione partendo dalla constatazione che le tecniche di comando che funzionano meglio sono quelle coltivate all’interno di noi stessi. Si tratta perciò di scoprire chi si é e cosa si desidera veramente]

Sulle ricerche più aggiornate sulla leadership é interessante la rivista periodica Harvard Business Review fondata nel 1922 e gestita dalla Harvard Business School, università che é da sempre fucina di manager nonché studi e libri sull'argomento business, aziende e leadership.


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